Orbene, eccomi arrivata a Delhi, accolta dal mio guru personale e dal monsone.
I primi giorni sono trascorsi tranquillamente, cercando di assaporare la città a piccoli morsi, organizzandomi l’appartamento preso in condivisione con due persone, un ragazzo indiano ed una ragazza romena, entrambi due macchiette, e che si trova in un quartiere molto carino, Lajpat Nagar. Qui c’è un bel parco per le passeggiate, ma anche uno dei più grandi mercati di Delhi, il Central Market, e diversi posti per approvvigionarsi di “roba di casa nostra” per i momenti di crisi d’astinenza. E’ una zona molto viva ma non caotica, e ci sono belle strade circondate da enormi alberi chiamati ashok. Nel periodo monsonico c’è un alto livello di umidità e quindi non potevo proprio esimermi dall’acquistare qualche capo d’abbigliamento locale per far fuori i (pochi) vestiti “occidentali”. E si perché sono stata presa da un raptus di follia e ho preso un po’ di abiti indiani tra cui modelli differenti del cosiddetto salwar, alcuni normali, alcuni detti patiala (che significa “grande” in punjabi) altri detti anarkali (che significherebbe – il condizionale è d’obbligo – sbarazzina).
Il salwar è formato da tre parti: quella inferiore si chiama churidar, quella superiore kurta e lo scialle sulle spalle si chiama dupatta.
Il churidar è una sorta di leggings così stretto, almeno sulla gamba, da arrivare a fermarmi la circolazione e costringermi a rifare la doccia per l’atroce sudata. Qualcuno potrebbe sentenziare che avrei potuto prendere una taglia superiore ma poi sembravo appena uscita dal letto con il pigiama.
Quando il kurta, ovvero la parte superiore, è più lungo e sembra un normale vestito a campana, allora prende il nome di anarkali.
Ed effettivamente, quando l’ho preso pensavo di poterlo indossare anche senza quella trappola del churidar ma poi ho visto la faccia a punto interrogativo del negoziante ed ho capito che non se ne parla neanche! E dire che in Italia mi son sempre rifiutata di portare i leggings perché non li trovavo comodi né adatti a me.
Il patiala, infine, è il modello stile “Strega per Amore”, come mi piace definirlo. Stavolta, la faccia basita era la mia. Nell’aprirlo, infatti, ho constatato che era troppo grande persino per Moira Orfei e non credevo minimamente che mi sarebbe calzato bene. Beh, giudicate voi dalle foto, sono consentite risate e critiche ma non il lancio di pomodori!! Oggi, fuori, c’è un’umidità intorno all’80% e circa 32° ma nonostante ciò devo ammettere che non mi è dispiaciuto indossare il churidar che ho trovato invece comodo e pratico, un po’ meno la dupatta (chiamata anche chunni) con la quale praticamente avrò ripulito un po’ Delhi, trascinandomela da spalla a spalla (devo ancora fare pratica). Ora, un aspetto sostanziale della faccenda è: il prezzo! Considerando che, tra kurta, churidar e dupatte ho ben 11 completi di abiti indiani, spendendo in totale 170€, direi che è facile esser sfiorati dall’idea di esportarli.
Ma che utilizzo potrebbero mai avere in Italia? Anche lì, effettivamente si usa moltissimo il leggings, spesso accompagnato da una cinta sui fianchi. Di sicuro il Kurta più corto può essere utilizzato per recarsi sulla spiaggia a mo’ di prendisole un tantinello più chic, e di questo chiedo conferma alle mie amiche Anna, Monica e Roberta visto che gliene ne ho appioppato uno ciascuna, mentre il patiala credo che potrebbe avere molto successo soprattutto tra i giovani più eccentrici in quanto è davvero sbarazzino ma ultracomodo!
Insomma, per quanto mi riguarda, trovo difficile non comprare abiti indiani in quantità industriale, anche perché ce ne sono a migliaia, e milioni sono le combinazioni possibili di colori, tessuti e trame. Io ora mi sono affezionata ad un negozio in particolare ma sono certa che tra qualche mese, vi saprò dire anche dove si trova la Resina locale.
Morale della favola: ci saranno anche 95 donne per 100 uomini in India, ma ci sono 1000 negozi di abbigliamento femminile contro 10 di abbigliamento maschile, ed io mi sono ripromessa di visitarli tutti, periodicamente, non facendo prendere collera a nessuno e soprattutto facendo “girare l’economia”!
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sei elegantissima Susanna ed il tuo articolo è tutto da leggere!
Grazie Teresa, sei gentilissima! Quando avrò imparato ad indossare un saree, farò un’altra sfilata davanti al fotografo, anche se come modella sono pessima!!! Un forte abbraccio!