La premessa è d’obbligo: qui voglio elencare soltanto 5 Cose dell’Italia che mi mancano in India soltanto perchè altrimenti dovrei scrivere un’enciclopedia! Vivere in un paese complicato come l’India significa che un giorno si e l’altro pure, qualcosa ti manca sempre. Spesso, si tratta di famiglia, amici e cibo. Tuttavia, volendo sorvolare su un aspetto ovvio come l’eccezionalità della cucina italiana, e prendendo in considerazione ciò che effettivamente mi manca con prepotenza, possiamo limitare la lista a pochissime cose, abitudini o tradizioni realmente essenziali. E non mi riferisco all’amato bidet che volendo, udite udite, si trova anche in India.
Oggi, ad oltre quattro anni dal mio trasferimento in India, le cose dell’Italia che mi mancano più di altre sono di tutt’altro genere. Ovviamente, quelli che andrò ad elencare sono aspetti legati alla mia vita a New Delhi, ma che possono non corrispondere con chi vive in altre città dell’India come Bangalore, Mumbai o Pune.
1) I MARCIAPIEDI
In India, noi stranieri abbiamo un detto: “una vacca vale più di mille pedoni!”. Nella parte nuova di Delhi, quella figa, ad uso residenziale, noterai che i marciapiedi ci sono eccome! Ma, man mano che ci si allontana dalla zona prettamente turistica o chic, vedrai che il pedone cammina a ridosso del muro (se c’è), cercando di non essere investito dallo scooter, dal tuk tuk, dalla macchina, dalla vacca, ecc.
L’assenza di marciapiedi a Delhi per le mamme è anche peggiore e l’impossibilità di usare un passeggino le costringe a tenersi i pargoli in braccio per ore intere o ad affidarsi all’aiuto della baby sitter. Soltanto oggi che sono anche io in dolce attesa ho capito perché i genitori portano sempre bambini in braccio. Il problema qui è così grave da farci considerare un trasferimento in una cosiddetta “society”, ovvero un parco chiuso, dove poter passeggiare con il bambino o semplicemente per fare un po’ di jogging senza rischiare la vita.
2) SORSEGGIARE UNA BIRRA AL PARCO
Per chi non lo sapesse, in India, è vietato il consumo di alcool in pubblico e per “pubblico” si intende qualsiasi luogo al di fuori della propria abitazione o di un ristorante. E questo vale anche per i trasportati in un veicolo. Quando nel 2016, io e mio marito, abbiamo girato un po’ l’Italia, abbiamo potuto goderci momenti piacevoli: le sagre in Umbria con vinello, i cicchetti a Venezia con lo spritz, la partita dell’Italia in piazza a Firenze con una buona birra gelata! Ahhhh, come mi manca!
Ora, non è che siamo due ubriaconi, intendiamoci, ma quello che più mi fa rabbia è dover limitare la mia libertà perché altri non hanno la capacità di regolarsi. Qui, spesso e volentieri, le leggi sembrano essere più una punizione che un modo per educare la popolazione. Se in Italia, a Napoli in particolare, tutti indossano casco e cintura mentre guidano, è perché dopo pochi anni dall’introduzione della legge, la popolazione la fa propria e non si limita più ad obbedire ciecamente alla legge ma ne comprende l’utilità.
A Delhi, o in India in generale, questo step sembra non avvenire mai: se il Governo autorizzasse il consumo di alcool in pubblico, siate certi che le strade sarebbero piene di ubriachi e questo molto probabilmente è causato dalla privazione totale e continuata e dalla mancanza di una cultura del “bere sano e morigerato”. Sarà perché sono italiana, ma non ricordo un giorno della mia vita in famiglia in cui non fosse presente una bottiglia di buon vino sia a pranzo che a cena eppure…non sono certo un’alcolizzata. Quando toccherà all’India fare il grande salto?
3) IL PANE CAFONE
Mio marito asserisce che la “scarpetta” sia stata inventata dagli indiani. Ed a pensarci bene, considerando le abilità con cui utilizzano il roti o chapati al posto delle posate, qualche dubbio mi è venuto. Poi ti ricordi di essere una donna italiana del sud e allora ti sale la nostalgia e ricordi il profumo del pane cafone che papà portava a casa ancora caldo ed io lo “testavo” con una bella cucchiara di salsa al pomodoro appena cotta da mammà.
All’epoca ero giovane e odiavo quasi tutte le verdure ed i legumi, tutto ciò che non fosse pasta al sugo. Ed allora la “scarpetta” era un rito, qualcosa che hai nel DNA di terrona, il momento topico a cui tutti siamo stati educati sin dalla tenera età.
Per capire cosa rappresenta la scarpetta per noi terroni (ma ho il sospetto che anche i polentoni stiano adottando quest’arte antica), vi rimando al video di Casa Surace, che spiega meglio di chiunque altro perché gli indiani non potranno mai essere considerati i promotori della scarpetta finchè ci sarò io in India a tenere alto il buon nome dei terroni. Avranno anche inventato il numero 0 ma la “scarpetta con il pane cafone” è un primato tutto italiano.
4) IL BUON GUSTO ITALIANO
Quando parlo di buon gusto italiano, non mi riferisco soltanto al cibo, ma anche alla moda, all’arredamento, agli accessori. Insomma, se sei italiano e stai leggendo questo post, sai di cosa sto parlando. Con questo non sto dicendo che in India il buon gusto sia completamente assente, anzi.
Vi sono stilisti, architetti, interior designer di altissimo livello ma la differenza sta appunto nell’accessibilità. Da un lato abbiamo il non plus ultra del trash e del kitsch a costo quasi zero: pareti delle abitazioni dipinte di rosa o di rosso, coperte, tende dai tessuti e dalle fantasie indecifrabili, calzini con l’infradito per l’inverno, maglioncini di lana scintillanti multicolore, luci psichedeliche e lavandini (!) in soggiorno.
Dall’altro abbiamo, le cucine modulari, gli abiti principeschi, gioielli preziosi, le finiture di pregio e via dicendo che una persona con stipendio umano non potrà mai permettersi. In mezzo, il nulla! È veramente difficile riuscire ad ottenere qualcosa di qualità decente ad un costo equo. In India, al mercatino puoi comprare un paio di scarpe a partire da 100 rs, equivalente di 1,30 € (di gomma o di plastica ovviamente) o a 6000/10000 rs (pari allo stipendio mensile di una maid) per un paio di scarpe in “pelle” o “ecopelle” di marca.
Questo dovrebbe rispondere alla domanda di molti, “ma quanto costa vivere in India?”: se sei italiano ed inorridisci di fronte allo scempio del “gusto” indiano di medio-basso livello, ti può costare moltissimo. Se riesci ad adattarti alla carta da parati con i classici paisley, allora puoi risparmiare parecchio.
5) L’ACQUA POTABILE E IL GAS
E qui forse tocchiamo il punto massimo della mia insofferenza. Credo che in paesi sviluppati come l’Italia non ci si renda conto di cosa significhi vivere in un paese del cosiddetto “terzo mondo”. In realtà, da anni ormai l’India non reca più questa etichetta adoperata dai paesi occidentali nei confronti di quelli meno fortunati che tanto amiamo sfruttare in ogni modo possibile.
In India, la qualità dell’acqua è terrificante e non parlo del fatto che possa contenere livelli più o meno alto di calcare quanto della probabilità pari al 100% di beccarti un virus se solo ti azzardi a berla anche solo per sbaglio mentre fai la doccia e canti a squarciagola.
In casa, tutti abbiamo il purificatore ad osmosi inversa (RO Water) o compriamo le taniche da cinque litri per poter bere e lavare le verdure il che significa maggiori spese ma anche molta più fatica per disinfettare tutto. Non idea come ti comporti nella tua città ma io, quando sono a Napoli, bevo l’acqua dal rubinetto e sono sempre lì a chiuderlo per evitare gli sprechi perché, che te ne rendi conto o meno, non tutti nel mondo hanno accesso all’acqua potabile. Ricordatelo la prossima volta che lo lasci scorrere per interi e lunghissimi minuti.
Oltre a non avere l’acqua potabile, in India non abbiamo l’accesso diretto al gas di città, come in Italia, a cui è collegato anche il sistema di riscaldamento di conseguenza a Delhi, in inverno, fa freddo più in casa che fuori. Ricordo alcuni inverni trascorsi nella mia prima casa indossando persino guanti e sciarpa e a poco servivano le stufette elettriche usate da mia nonna cinquant’anni fa, aumentando anche di cinque volte il costo della bolletta. Oggi ho risolto con la stufetta ad olio, facciamo progressi.
Queste sono le 5 cose dell’Italia che mi mancano in India più della pasta, della pizza, del bar degli amici, della domenica in piazza, del bidet a tutti i costi che per mia personalissima opinione restano insormontabili soltanto se non si è completamente integrati nel paese in cui ci si è trasferiti.
Una cosa è certa, nonostante tutte queste carenze e le altre centinaia (di cui prima o poi parlerò ancora) che mi fanno sentire un po’ di nostalgia per il Belpaese, io mi sento sempre più integrata in India ed è qui che, nel bene e nel male, io mi sento a casa.
C-2. Tanishq Apartment, 2nd Floor, Dadabari Road, Ward - 8, Mehrauli, New Delhi - 110030
ITA (+39) 349 722 20 12
IND (+91) 882 67 47 693
+39 349 722 20 12
info@susindia.it
© Copyright 2018 | SusIndia di Susanna Di Cosimo. Tutti i diritti riservati.
Mutart | Privacy Policy - Cookie Policy
bell’articolo, informativo, ma con un tocco personale, leggiadro. auguri per la dolce attesa.